Una cerniera tra i Simbruini e gli Ernici

I Cantari ed il monte Viglio


Una giornata tipicamente settembrina, una brezza leggera ed il sole che ancora scalda, è l’ideale per un ritorno sul monte Viglio, la mia prima passione, una delle mie prime montagne del Lazio. Ho immaginato la salita da Meta, un anello, più di 1000 metri di dislivello, ma non mi hanno convinto gli attraversamenti dei boschi in salita ed in discesa che avrebbero reso poco panoramici i momenti estremi dell’escursione. Ho pensato di salirlo per il sentiero che sale sulla cresta poco oltre Filettino, un mare di boschi anche in questo caso; ho solo intuito invece un percorso, che sulle carte non è riportato, un anello con l’andata che traversa sotto il monte Piano e sotto i bastioni delle coste del Viglio , sul versante di Filettino, che si ricongiunga alla cresta che sale sempre da Filettino per arrivare in vetta al Viglio dal versante Sud. Non c’è riuscito, per un pelo, forse per mancanza di perseveranza e coraggio. Siamo arrivati al Valico S. Antonio alle 8,30, in ritardo sulla pianificazione; il parcheggio era pieno di autovetture, un gruppone di una ventina di persone si stava preparando per la partenza, nonostante fossero lì già da un po’, non è stato difficile anticiparli; i preparativi di due persone sono essenziali e anche senza fretta siamo riusciti ad anticiparli. Beata solitudine quindi sullo stradone che taglia i boschi verso fonte della Moscosa. Il sole ancora basso rende l’atmosfera buia, il rumore del bosco ed i profumi che vi si sprigionano inebriano, è quiete assoluta. Percorriamo il poco più di un chilometro fino alla fonte in circa 20 minuti; dall’ultima volta che sono stato, diversi anni fa, l’area pic-nic è stata risistemata ed anche la fonte sembra avere un volto diverso. Abbandoniamo la via classica al Viglio che continua diritta in salita all’interno del bosco verso la madonnina, e prendiamo il sentiero che taglia a destra, sopra la fonte; entra per un breve tratto nel mezzo di enormi faggi, quelli tipici dei Simbruini, alti, folti ed in perfetta salute. Bandierine CAI bianco-rosse, poste di recente con troppa foga, sono disposte ogni dieci metri, non ce ne sarebbe il bisogno. Il bel sentiero si biforca presto , abbandoniamo quello che si stacca verso destra e che in piano dovrebbe raggiungere la grotta della Neve e proseguiamo in salita per quello che porta invece sulla cresta verso il monte Piano. Superati un paio di roccioni affioranti nella prateria, aggirato il tondo spigolo che sale, abbandoniamo il sentiero marcato e ci affidiamo ad una traccia, che per quanto evidente taglia in piano il versante senza bandierine o indicazioni di sorta; le coste del monte Viglio sono già a vista, e non solo, molto ben distinta è già anche la croce di vetta, come pure la lunga cresta che sale da Filettino dove dovremmo convergere; prima però ci sono da superare tutti gli spigoli che scendono dal monte Piano e dai Cantari, in mezzo, i vari fossi che costringono ad allungare le linee per seguire il contorno della montagna. Il sentiero è una traccia leggera tra l’erba alta, a tratti si perde e poi riprende, cerchiamo continuamente oltre il prossimo fosso nuove tracce che ci indichino la direzione , insomma, si passa ma molto è sulla base del proprio istinto. Tutto bene traversando il monte Piano, le cose si complicano sui pendi dei Cantari, più ripidi e con tracce ancora più flebili. E’ facile scambiare scoli di acqua o i gradoni naturali della montagna per sentiero, lentamente ci alziamo pensando che sia la soluzione giusta e questo sarà il nostro errore. Dopo lo spigolo che scende dai Cantari ho sperato di poter intravedere qualche filo di traccia lontano che mi aiutasse nell’incertezza del progredire ma così non è stato; avrei voluto continuare a traversare, ma il pendio si faceva via via più ripido e non vedevo traccia che potesse tornare utile. Piuttosto che un fuori sentiero massacrante, parlandone con Marina, ho preferito una salita di circa duecento metri tra roccette e pratoni; ripida, faticosa ma certa. Ansimando e sudando le proverbiali sette camice sbuchiamo sui Cantari, in una valle secondaria di sapore alpino, tra belle fioriture di spinose Carlina Bianca e ormai a vista del Gendarme. Pochi minuti di agile e pianeggiante sentiero, mentre un gruppo di escursionisti sfila sull’ampia cresta sopra di noi, forse gli stessi che abbiamo anticipato in partenza, e siamo al cospetto del Gendarme. Il canalino sale ripido ma è comodo superarlo, ero curioso perché lo avevo salito solo in invernale, con piccozza e ramponi, in pratica lo conoscevo come un canale nemmeno troppo pronunciato, ghiacciato, quella volta si confondeva nella uniformità del lato Nord del Gendarme. Ripidi tornanti, un paio di piccoli salti in cui forse è troppo parlare di secondo grado, si superano divertendosi e si è subito in vetta; la salita al Gendarme è breve e divertente, giusto per spezzare la lunga piatta cresta dei Cantari. Si scende su una piccola sella per sentiero comodo e subito si riprende a salire tra roccette sporgenti su un sentiero agile. La grande croce sporge già dalla vetta, in dieci minuti siamo al suo cospetto. La prima cosa che noto è la comparsa di un altarino e di una madonnina pochi metri sotto la cima che non c’erano l’ultima volta, era qualche anno che non salivo sul Viglio, mi viene in mente il Velino. Mi tengo i dubbi per questo proliferare di simboli religiosi in quota, non ne avverto il bisogno e soprattutto mi infastidisce il poco rispetto che si ha per gli altri in generale, per le altre culture e soprattutto per la montagna stessa che non ha bisogno di targhe e appropriazioni indebite e continuo verso l’ampia dolina erbosa sottostante la cima. Sdraiati sul manto ancora verdissimo ci facciamo avvolgere dai tiepidi raggi del sole mentre la coda interminabile di escursionisti sfila alle nostre spalle. Faccio finta di non vedere i riti “pagani” verso la croce e la madonnina che tanti compiono, mi piace rispettare tutti, ma mi faccio condizionare ed innervosire, non vorrei che il Viglio diventi qualcosa di diverso da una bella montagna. Mi sposto sul lato meridionale della conca, giro intorno alla dolina cercando con lo sguardo le altre montagne amiche, gli Ernici, in particolare il monte Crepacuore, ormai entrato nel mio mirino e oggetto dei miei desideri. Nel tornare indietro scorgo al centro della dolina un cippo, non lo avevo mai notato, in inverno forse è coperto dalla neve e nella prima salita estiva ero forse troppo preso dalla conquista che i dettagli non riuscivano ancora ad entrare nel mio spettro visivo. Mi viene in mente che da quelle parti passava il confine tra stato papale e borbonico, dovevo togliermi la curiosità. E di cippo di confine si trattava, non è in buono stato ma i simboli, le date il numero del cippo sono ancora ben visibili. Che bello trovare la storia in montagna, i pensiero vola al nostro Giuseppe Albrizio e alla bella sezione sul suo sito “Le mie passeggiate” dedicato proprio al confine dei due vecchi stati e ai seicento e più cippi di confine. E’ ora di tornare, nel ripassare sotto la croce scorgo il signore che avevamo incontrato alla fonte della Moscosa mentre stava aspettando il gruppone di amici in procinto di raggiungerlo. Era preso dal firmare il diario di vetta, mentre arriviamo ce lo porge, quasi sentisse consuetudine che anche noi dedicassimo un pensiero al Viglio; è in quel momento che mi accorgo che alla croce sono appoggiate due stampelle, in un attimo realizzo la realtà dei fatti, Costantino questo è il suo nome, è privo di una gamba, ha uno sguardo luminoso, felice, orgoglioso. Si offre di farci una foto; poche parole ed una stretta di mano vigorosa bastano per capire che pasta di uomo sia. Mi complimento con lui commosso per tanta forza di spirito e per tanta normalità, mi oscura però la mente, il rispetto che provo per lui, una sorta di timidezza mi impediscono di conoscerlo meglio, di farmi una foto con lui, di strappargli la promessa di poter fare una uscita insieme. Sei una grande persona Costantino, e per me è stato un incontro indimenticabile che spero diventi anche una lezione di vita. Per la cronaca, il giorno dopo, Domenica, aveva in programma di salire il Pizzo Deta da Rendinara. Nel mezzo delle emozioni per questo incontro riprendiamo la via del ritorno, aggirando questa volta il Gendarme, intorno allo spigolo ovest che è il passaggio normale durante le escursioni invernali. Il ritorno è in cresta ai Cantari; è da qui che scorgo il sentiero a valle che volevo percorrere e che ho mancato. Una traccia flebile che aggira il Viglio e che sale da Sud fin sulla cresta prima e poi in vetta. Eravamo saliti troppo, la traccia scende un poco rispetto a dove eravamo noi, riprende il bosco per uscire definitivamente allo scoperto sotto i ghiaioni delle coste del Viglio. Peccato averlo mancato, sarà per la prossima. Deluso dall’evidenza di quanto avevamo mancato continuiamo verso i Cantari su un leggero saliscendi, sempre molto panoramico, peccato la tanta foschia, con una leggera deviazione verso una statua al limite della dorsale verso est . Un’altra statua che non ricordavo di aver mai visto. Ci dirigiamo per capire di che si tratta anche se era già scontato arrivare alle solite conclusioni. Posta nel 2012, per questo non l’avevo mai vista, si tratta della raffigurazione di San Giovanni Battista , a protezione della cittadina di Civitella Roveto. Mi ripeto, rispetto per tutti, ma a non essere rispettato mi sento io che amo la natura e la montagna come il Dio mio e di questo santo raffigurato, l’ha concepita. Scendiamo ancora la cresta verso la madonnina storica, quella che è posta sul belvedere sopra Civitella , segnali freschi sono posti con frequenza ad indicare il percorso. I questa stagione il sentiero è ben marcato i segnali sono del tutto superflui, soprattutto così frequenti. Alla madonnina sostiamo il tempo necessario per individuare l’attacco del sentiero che scende a Meta, sono certo che tornerà utile per la prossima salita al Viglio. Tra abeti rigogliosi ed aceri altissimi raggiungiamo fonte della Moscosa mentre il cielo si chiude e qualche sparuta goccia di pioggia inizia a scendere. La carrareccia fino al valico di S. Antonio è un viale piacevole, le poche gocce di pioggia hanno sprigionato profumi che terra, muschio e alberi tenevano imprigionati. Una escursione da cinque / sei ore, sempre piacevole e gratificante. Un must!